Emiliano Giancristofaro

Emiliano Giancristofaro

Emiliano Giancristofaro, profondamente appassionato di ricerca storica ed etnologica, ha documentato in Abruzzo e Molise e in particolare a Pollutri ogni frammento che potesse ricomporre il mosaico delle culture tradizionali che alla metà del Novecento sono sparite sotto la spinta della modernizzazione e della globalizzazione. Nato a Lanciano nel 1938 in una famiglia del popolo, fin da bambino eccelleva negli studi, ma doveva collaborare col papà, facendo con lui il meccanico e l'autista: insomma, si è abituato presto a fare più di un lavoro contemporaneamente. Questa è stata una sua caratteristica fondamentale, perché riuscì a fare contemporaneamente (e con successo) l'insegnante, lo studioso, il giornalista, il politico e l'ambientalista; nel tempo libero, faceva pure il contadino, con tanto di orto, pollaio, oliveto e vigna! Presa brillantemente la licenza del Liceo Classico a 17 anni, per mantenersi agli studi universitari continuò a lavorare ed ebbe la fortuna di diventare segretario del grande critico letterario Luigi Russo, professore alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Russo era un grande studioso e per lui fu una formidabile scuola di pensiero. A Pisa, con la famiglia di Russo, conobbe Flora, Binni, Sapegno, e da loro apprese lezioni preziose per la vita. In particolare, conobbe l'etnologo Ernesto De Martino, studioso del tarantismo e del mondo magico e superstizioso del Sud Italia: grazie a quell'incontro, decise di studiare le tradizioni popolari abruzzesi. Nel 1961, quando Russo morì, si laureò e tornò in Abruzzo. Divenne insegnante nei Licei, giornalista del "Messaggero" e direttore della "Rivista Abruzzese", e allo stesso tempo iniziò a lavorare come documentarista per la RAI, sede di Pescara, dove il lungimirante Edoardo Tiboni gli aveva commissionato centinaia di interviste al mondo abruzzese che spariva: anziani pastori, contadini, emigranti, trinaie, ricamatrici, tessitrici, calzolai, formaggiai, pescatori e ogni sorta di artigiano. Nel 1966, professore ventottenne in un Liceo di Vasto, scoprì che tanti suoi studenti avevano il padre emigrato in Svizzera, Belgio o Germania, lavoravano in fabbrica, o nelle miniere, e che l'unico modo per tenere assieme la famiglia erano le lettere. Chiese di leggerle e gli si aprì un mondo che era rimasto nascosto: in Abruzzo, tutti partivano, ma non si conoscevano le condizioni di vita degli emigranti e delle loro famiglie. Non faceva comodo conoscere, perché lo Stato di quel sacrificio aveva bisogno, gli emigranti mandavano soldi a casa, le rimesse, e quei soldi erano ossigeno per la società italiana, ma dietro c'era tanta sofferenza. Col permesso delle famiglie, e col rispetto della loro privacy, ne raccolse a centinaia, trascrivendole e lasciando gli originali ai legittimi proprietari: a lui interessavano come fonti storiche, documenti preziosi di vicende dolci e amare di vite consumate nell'attesa del ritorno. A Vasto, nel 1967, conobbe la sua futura moglie, Lucia Di Virgilio, oriunda di Pollutri: era la seconda dei 7 figli del notaio Filippo Di Virgilio e di Maria Sabettina Carusi, grandissimi lavoratori, che al tempo abitavano a Vasto. Lucia aveva i suoi stessi interessi, studiò Lettere e Filosofia per diventare insegnante nei Licei e gli fece conoscere i suoi parenti a Pollutri, da cui fu molto colpito. Emiliano fu affascinato dalle storie e dalle leggende che gli raccontava in particolare la nonna Rufina, che non aveva studiato ma era ancora molto attiva nel lavoro. Lui riteneva che le persone di Pollutri fossero brave e operose e si appassionò al culto di San Nicola; spesso si recava ad ammirare la maestosa quercia secolare di San Nicola, attivandosi per la sua salvaguardia e parlando con le persone delle contrade. Grazie anche a quella documentazione, cominciò a pubblicare volumi sulle tradizioni abruzzesi: il primo, Il mangiafavole: inchiesta diretta sul folklore abruzzese, Firenze, Olschki, 1971, raccontava documentava le storie e le favole che aveva registrato dalla viva voce delle donne anziane, ormai sostituite dai dischi e dalla televisione. Nel 1978, scrisse il famoso Totemajje: viaggio nella cultura popolare abruzzese, Lanciano, Carabba, e nel 1982, sempre per Carabba, Staccia setaccio: novelliere abruzzese. Antiaccademico e "antibaronale", collaborava con le tre università abruzzesi, senza mai diventare accademico, perché preferiva continuare a fare il professore di storia e filosofia nel Liceo. Fortificato dall'idea rivoluzionaria di un socialismo di uguaglianza e giustizia, riteneva che non fossero i sistemi politici a garantire una società migliore, ma l'educazione, la promozione culturale, la salvaguardia dell'ambiente e dei paesi che purtroppo si stavano spopolando sotto i colpi dell'emigrazione e della mancanza di prospettive. Ha dato un esempio di onestà intellettuale e di rigore scientifico nella sua antropologia studiata da autodidatta, sotto la guida di studiosi e amici come Alfonso M. di Nola, Alberto M. Cirese e Luigi Lombardi Satriani. La sua capacità comunicativa e documentaristica era mossa da volontariato puro e competente, tanto che non guadagnò mai nulla dalle sue attività culturali: aveva scelto di impegnarsi per la società e per l'ambiente. Dallo studio sull'emigrazione, nel 1984 nacque il libro Cara moglia. Lettere a casa di emigranti abruzzesi, dedicato a sua moglie Lucia, che lo aveva aiutato a trascrivere quelle lettere spesso sgrammaticate e confuse dalla grafia incerta, da cui trapelano sentimenti di tenerezza, nostalgia e spesso anche di angoscia. Il volume è stato ristampato e ampliato nel 2015 a cura dell'editrice Rivista Abruzzese e arricchito da un saggio della sociologa Eide Spedicato Iengo. Ha dedicato, inoltre, moltissimi articoli e libri a singole feste o tradizioni, dal tombolo aquilano alla festa delle farchie di Fara Filiorum Petri. In particolare, a Pollutri ha dedicato il volume ll culto di San Nicola a Pollutri. Gli ex-voto e le tavolette devozionali, pubblicato nel 2000 dall'Editrice Rivista Abruzzese di Lanciano. Era molto amico, in particolare, di Don Giuliano Manzi, che secondo lui aveva il giusto approccio per il culto locale di San Nicola. Emiliano, per questo, non mancava mai alla festa del 6 dicembre e portava a casa i taralli e le fave di San Nicola, che consumava con devozione. Altri pollutresi a lui cari furono i medici Domenico Di Girolamo e Francesco D'Agostino. Un'altra data importante, nel suo percorso, è quando nel 1996, a Roma, pubblica il libro Tradizioni popolari d'Abruzzo, che ha venduto oltre ventimila copie in Italia e all'estero, segno della passione con cui è riuscito a divulgare il folklore abruzzese. La sua produzione scientifica si è protratta per sessant'anni: ha documentato e studiato, se non la totalità, una gran parte dei fenomeni folklorici e sociali dell'Abruzzo, realizzando decine di volumi, centinaia di articoli scientifici e migliaia di interviste e documentari radiofonici e televisivi: ricordiamo, per esempio, le "Storie del Silenzio", andate in onda su TELEMAX e TVQ negli anni Ottanta e Novanta. Feste patronali, pellegrinaggi, superstizioni, stregoneria, alimentazione, la storia sociale, le rivolte popolari, l'emigrazione: non ha lasciato fuori niente, della cultura popolare abruzzese e molisana. Giancristofaro fu molto rispettoso delle comunità dove aveva registrato i materiali audiovisivi e menzionava sempre quelle persone depositarie di conoscenze e pratiche della tradizione che gli avevamo trasmesso il loro sapere con semplicità e disponibilità. Perciò, ha regalato i suoi volumi a Comuni e Biblioteche di Abruzzo e Molise. A partire dal 2000, ha donato i suoi documentari audiovisivi (oltre cento) alla Biblioteca Comunale di Lanciano; alla Biblioteca del Centro Studi "Alfonso M. di Nola" di Cocullo, gestita dalla Pro Loco; all'Istituto-Archivio-Biblioteca "Ernesto De Martino" di Sesto Fiorentino (FI); al Circolo "Gianni Bosio" di Roma (quest'ultimo conserva la più grande raccolta di materiali sonori musicali e storici dell'Italia centrale). Molti dei suoi documentari sono fruibili gratuitamente anche su YouTube. Con questi gesti generosi, ha voluto restituire i documentari sul folklore a quello che, lui diceva, è il legittimo proprietario: il popolo. Ma c'è anche un altro aspetto importante, che è l'associazionismo: dal 1965 ha collaborato con le Pro Loco, costruendo una relazione fortissima con esse. Le Pro Loco di Cocullo (AQ), Tornimparte (AQ), Lanciano (CH), Pollutri (CH) e Sant'Omero (TE) sono quelle con cui ebbe un rapporto più lungo e costante, tanto che da ricevere, a Cocullo, la cittadinanza onoraria (2014) per aver valorizzato la cultura del posto: era molto onorato di essere cittadino onorario del piccolo comune di Cocullo, famoso per la festa di San Domenico dei serpari. Negli ultimi anni, prima di ammalarsi, sognava di realizzare un Museo della Cultura Locale a Pollutri, e per questo aveva donato il telaio di famiglia alla Pro Loco. Egli credeva che l'intellettuale organico avesse il dovere di lavorare, gratuitamente, a favore dei luoghi che frequentava, per migliorare i luoghi e la vita dei cittadini. Egli sosteneva che le Pro Loco dovevano avere una missione meno estetica e turistica, e più impegnata. «Le sagre vanno bene», diceva, «ma bisogna anche fare la salvaguardia del territorio e della cultura». Per questo, cercava di spingere le Pro Loco a collaborare anche con altre associazioni, in modo da mettersi in rete e potenziare il loro impatto. Per esempio, realizzò varie iniziative delle Pro Loco con Italia Nostra, l'associazione che contribuì a fondare in Abruzzo quando militava contro l'insediamento dell'industria petrolchimica in Val di Sangro e lottava per la salvaguardia dell'Abbazia di San Giovanni in Venere, sita su quella che oggi è la Costa dei Trabocchi. Cercò di coinvolgere le Pro Loco anche nel 1974, quando lottava contro la nascita della Sangro-Chimica in Val di Sangro: pescatori, agricoltori, studenti, residenti, andarono tutti in corteo assieme a lui e altri militanti per fermare un'industria che avrebbe prodotto inquinamento e non certo posti di lavoro. E ancora fu coinvolto nella battaglia sindacale delle tabacchine di Lanciano, che rivendicavano un giusto salario, fino poi ad arrivare alla lotta per il "corridoio verde" del reliquato ferroviario sulla costa dei trabocchi, precursore della pista ciclopedonale della "Via verde": l'uso pubblico e turistico della ferrovia litoranea, dismessa nel 2004, fu una sua idea e la propose ai Comuni, alla Provincia e alla Regione, catalizzando le idee comuni verso quella che era una cosa buona per tutti. La sua attività è iniziata nel 1961 ed è terminata nel 2018, quando si è ammalato di cuore e di questo male è morto nel 2022. Era umile tra il popolo, e del popolo amava raccontare le storie degli sconfitti, di abruzzesi emigrati senza successo, dei contadini che, trasferitisi in città, in fondo non si erano mai completamente integrati, e continuavano a fare l'orto nei piccoli appezzamenti, pieni di nostalgia del proprio paese. Grazie a questa passione per il popolo, ha realizzato da pioniere, sessant'anni fa, una imponente documentazione sull'Abruzzo e sul Molise. Faceva sempre un confronto tra il passato ed il presente, tra le tradizioni da una parte, e la cultura di massa della modernità, dall'altra. Nei confronti della cultura tradizionale, aveva un po' di rammarico, soprattutto per la scomparsa della solidarietà e del rispetto che spesso caratterizzavano i ceti più umili.

                                                                                                                                     Lia Giancristofaro

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