Luigi Zappacosta

Luigi Vittorio Zappacosta

Gigino è entrato nella mia vita per caso. Quando ci siamo conosciuti, nel lontano 2005, io ero una giovane donna alle prese con una vita frenetica, in perenne bilico tra famiglia e lavoro, entrambi i poli mi assorbivano completamente intersecandosi in maniera così serrata che difficilmente trovavo il tempo per qualcos'altro.

Ricordo che un giorno ricevetti una telefonata. Dall'altra parte c'era Gigino che mi spiegava che il numero di telefono glielo aveva dato una nostra comune paesana alla sua richiesta se conoscesse qualcuno con la passione della scrittura legato a Pollutri.

Sì perché sia io che Gigino eravamo pollutresi di origine e vastesi di adozione. Non ci conoscevamo perché di generazioni diverse, lui classe 1926, a Vasto dal 1959, era già in pensione da anni, aveva la passione della storia e aveva scritto già diverse opere su Pollutri grazie ad un'instancabile raccolta di informazioni, documenti storici e testimonianze; io classe 1970, a Vasto dal 1998, impiegata in un'azienda a San Salvo, moglie e mamma.

Mi raccontò di come avesse avuto il mio numero ed il motivo della sua chiamata. Cercava pollutresi che avessero voglia di scrivere un ricordo su Pollutri, per arricchire il libro che stava scrivendo il quel periodo, «Pollutri nelle immagini – Fatti e Persone» (Editrice Il Nuovo - Vasto -2005), meravigliosa raccolta iconografica di luoghi, monumenti, oggetti, persone del paesino evidentemente rimasto nel cuore dello scrittore seppure lo avesse lasciato per vivere nella vicina Vasto quasi 50 anni prima.

Ogni foto era corredata da informazioni precise ed essenziali e raccontava una storia, dava una sfumatura nuova alla tela che l'autore stava portando alla luce con amore e passione. E poi le storie, tra cui la mia, incentrata su una tradizione bellissima che animava gli inverni pollutresi durante la mia infanzia e adolescenza, l'uccisione del maiale e la festa che ne seguiva, riunendo le famiglie e dando vita ad una socialità unica, un rito che era un vero collante e permetteva la nascita di relazioni forti, inossidabili e, allo stesso tempo, movimentava un po' l'eccessiva quiete della campagna pollutrese.

Gigino ospitò la mia «storia» all'interno del suo libro e da lì nacque una bella amicizia, un sodalizio intellettuale ed una collaborazione durata molti anni. Io divenni le sue gambe e, laddove lui non riusciva ad andare per i dolori del fuoco di Sant'Antonio che lo affliggevano da tempo e per l'avanzare dell'età che non gli permetteva di guidare, ero io ad andare a Pollutri a fare questa o quella foto. E mentre cercavo l'oggetto o il posto da fotografare, imparavo e mi appassionavo sempre di più alla ricerca ed al mio paese, mai conosciuto profondamente come in quegli anni in cui lo andavo a ricercare per aiutare Gigino.

A volte passavano settimane senza che lo sentissi o lo andassi a trovare e così era lui a chiamarmi ed a sgridarmi dolcemente che mi ero dimenticata di lui, che non lo andavo più a trovare. E così andavo, quando potevo, per gli auguri di Natale, per un saluto, nella bellissima villa Marilina, intitolata alla figlioletta morta tantissimi anni prima, un dolore immenso. Gigino era lì ad aspettarmi, il braccio contratto e l'espressione sofferente causata dal dolore del braccio malato dal fuoco di Sant'Antonio. Ma poi il sorriso prevaleva sulla sofferenza, qualche battuta ed era lui, il Gigino di sempre.

Entravo nella sala arredata con gusto e con eleganza, sobria, sempre in ordine, dove il tempo sembrava essersi fermato e tutti gli oggetti erano sempre nello stesso posto. Gigino mi raccontava le «novità»: aveva parlato con quel paesano, aveva raccolto quelle foto, aveva completato il capitolo, tanto l'entusiasmo e la passione che riversava nella scrittura e nella narrazione delle cose di Pollutri. Poi Alfonsina arrivava con il vassoio dei cioccolatini e con il suo sorriso dolcissimo, era un'insegnante in pensione, una bella signora, pur se avanti negli anni, conservava un'innata eleganza nei modi e nella persona, un sorriso sereno sempre sulle labbra e gli occhi innamorati per il suo Gigino.

Quest'ultimo anche era innamorato della sua Alfonsina e le dedicò proprio il libro che ci aveva fatto conoscere. Passare qualche ora con loro era per me occasione di riconciliazione con me stessa, un momento di pausa dalla frenesia delle mie giornate, l'occasione di rallentare il ritmo e adeguarlo a quello di Gigino ed Alfonsina, nel calore della sala di villa Marilina.

A volte portavo con me anche i miei figli e Gigino ed Alfonsina facevano scendere Luigi e Bianca, gli adorati nipoti che vivevano al piano superiore. Era bello chiacchierare con loro, tra i ricordi, i racconti, i sogni ed i bambini che ascoltavano rapiti, di un paese che non conoscevano, di persone mai incontrate, essendo loro nati a Vasto e frequentato pochissimo quel posto che invece animava tanto me e Gigino.

Gigino ha scritto tanto per Pollutri e le sue opere hanno un valore inestimabile e che tutti i pollutresi dovrebbero avere nella propria libreria. Io ho la fortuna di averli perché Gigino me li donava con una dedica ed io li tengo con orgoglio nella mia casa di Via Incoronata.

E' di Gigino «Ricordare Pollutri», Ed. Il Nuovo, 2002 e 2003, una raccolta di estratti di libri e giornali, copie di documenti di archivi, racconto di tradizioni, storie, cultura e folklore.

Degna di nota è l' «Antologia Pollutrese illustrata» in tre volumi, nei quali Gigino ripercorre la storia di Pollutri, del suo nome, le attività commerciali, agricole, i manufatti dell'uomo attraverso una notevole raccolta iconografica che arricchisce una scrittura compita, perfetta, curata nel dettaglio ma, allo stesso tempo, gradevolissima.

Tante le testimonianze scritte, il punto di vista ed il racconto di chi ha vissuto il territorio da straniero e una raccolta di vite di tanti pollutresi che in qualche modo hanno lasciato un segno e sono ancora ricordati in paese.

Pollutri prende vita sotto gli occhi del lettore in una forma inedita, la scrittura dona vita ad un paese più che mai vivo, esso esce dalle pagine in un viaggio nel tempo, tra passato e presente, tutto questo grazie alla penna ed alla passione dell'instancabile scrittore.

Tante altre opere furono scritte da Gigino, «Le lettere circolari di padre Giacinto D'Agostino da Pollutri», «Catasto onciario di Pollutri 1742» ecc. ma il libro che preferisco è «Pollutri – Il libro delle Ore 1 e 2» , pieno di filastrocche e ninnananne che ci riportano a quando eravamo bambini, scioglilingua che pensavamo di aver dimenticato, il potere della parola che ci trasporta in un mondo che non c'è più, in un tempo magico che pensavamo di aver perso.

Gigino aveva un'attenzione per gli altri, una delicatezza che incantava: sulla copertina del libro delle ore mise una foto giovanile della mia mamma, all'epoca era già venuta a mancare e Gigino volle omaggiarmi con questo gesto, tanto naturale per lui quanto prezioso per me.

Dobbiamo tutti qualcosa a Gigino: lui ha fatto un lavoro enorme di studio, ricerca, di scrittura e di testimonianza. Ha trascritto e fermato sulle pagine dei suoi libri la nostra storia, le nostre tradizioni, i nostri avi, nei cui volti possiamo ritrovare una parte di noi.

Ci ha consegnato ben impacchettate e riordinate, le nostre radici, affinchè noi non le dimenticassimo mai e possiamo andare ovunque nel mondo sapendo che la nostra storia è lì, nelle pagine di Gigino e nei luoghi che eglì amò perdutamente tanto da dedicargli anni di lavoro appassionato e dovizioso.

Ogni tanto, quando squilla il telefono, penso che potrebbe essere Gigino. Vorrei ricevere una delle sue dolci sgridate per la mia latitanza, ci provava a fare il burbero ma era un'anima gentile, un amico indimenticabile, nel cuore per sempre.

                                                                                                                                    Concetta Di Pietro

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